Cass. pen., Sez. IV, Sent., 07/11/2023, n. 44625
Sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l' idoneità tecnico-professionale dell' impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poichè l'obbligo di verifica di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 90, lett. a), non può risolversi nel solo controllo dell' iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -
Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -
Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere -
Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato il (Omissis);
avverso la sentenza del 26/09/2022 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARI ATTILIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CERONI FRANCESCA, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 22/07/2020 dal Tribunale di Roma nei confronti di A.A. e W.W., imputati del reato previsto dall'art. 589 c.p., commesso in dato di C.C., revocando le statuizioni civili e contestualmente confermando la condanna di entrambi alla pena di un anno di reclusione, con beneficio della sospensione condizionale.
1.1 Era contestato agli imputati di avere - nelle loro rispettive qualità di committente e datore di lavoro - cagionato il decesso del C.C.; in particolare, secondo il capo di imputazione, il B.B. si era fatto coadiuvare dal C.C. nella verniciatura della ringhiera di un balcone sito nell'appartamento di proprietà del committente, per la quale era stata utilizzata una scala fornita dal A.A. e dalla quale il C.C. era caduto da un'altezza di circa tre metri, dececendo a causa delle lesioni riportate; era quindi stato imputato al A.A. di avere fornito una scala non idonea al tipo di lavorazione e al B.B. di non avere informato il lavoratore dei rischi connessi all'attività, in riferimento alla disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 86, non fornendogli inoltre una formazione adeguata in riferimento all'art. 37 del D.Lgs. cit..
1.2 La Corte territoriale ha premesso la ricostruzione del fatto operata da parte del Tribunale, sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi e dei documenti acquisiti; ricostruzione in base alla quale, il giorno (Omissis), il C.C. era intento all'esecuzione di lavori di verniciatura presso l'abitazione del A.A., che si era rivolto per tali opere al B.B., datore di lavoro dello stesso C.C.; tale lavorazione, a propria volta, doveva essere eseguita in parte all'interno del balcone e in parte all'esterno e oggetto della stessa era una ringhiera collocata, rispetto al piano di calpestio, a un'altezza di poco superiore ai quattro metri, con utilizzo di una scala telescopica omologata, dalla quale il C.C. era caduto riportando lesioni al cranio che ne avevano cagionato il decesso.
1.3 La Corte ha quindi ritenuto condivisibile la valutazione operata dal giudice di primo grado in punto di penale responsabilità degli imputati; in relazione alla posizione del B.B. - ritenendo non adeguatamente provata e comunque ininfluente la deduzione riguardante una asserita e preesistente patologia fisica in capo al lavoratore - è stato ritenuto che lo stesso dovesse essere qualificato come datore di lavoro, in considerazione dell'applicazione in subiecta materia del principio di effettività e del concreto esercizio delle facoltà conseguenti a tale posizione, con conseguente dovere di identificare i rischi connessi alla lavorazione e di adottare le idonee cautele al fine di scongiurare il rischio di infortuni.
In riferimento alla posizione del A.A., quale committente delle opere, la Corte ha argomentato che la sua assenza dal luogo di lavoro non era tale da escluderne la responsabilità ma doveva anzi essere letta in senso contrario, dato il suo obbligo - in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15 - di pianificare le varie fasi di lavoro e in relazione ai principi in tema di adozione delle misure generali di tutela, da cui sarebbe derivato l'obbligo di procedere alla valutazione dei rischi e alla programmazione della prevenzione; rilevando altresì come dovesse ritenersi provato che il A.A. aveva fornito all'appaltatore gli strumenti di lavoro, con specifico riferimento alla scala, da ritenere non conformi rispedo alla tipologia di opere commissionate.
La Corte ha quindi ritenuto immuni da censure le conclusioni del Tribunale in punto di trattamento sanzionatorio.
2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione A.A., tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), e in relazione al disposto del D.Lgs. n. 81 del 2008, denunciando contestualmente anche il difetto di motivazione.
Ha dedotto che la Corte territoriale aveva posto alla base della dichiarazione di responsabilità del A.A. l'omesso rispetto di alcune disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 81 del 2008 ; ha quindi dedotto che il D.Lgs. n. 31 del 2008, art. 3 escludeva l'applicazione del relativo testo normativo in relazione ai piccoli lavori domestici a carattere straordinario; ha dedotto che, al fine di giungere a una pronuncia di responsabilità per il privato e il piccolo lavoratore domestico sarebbe stato necessario accertare che l'attività rientrasse nell'ambito di quella prevista dall'art. 2222 c.c. ovvero nel solo ambito del lavoro occasionale; ha pertanto dedotto che la Corte territoriale avrebbe fatto cattiva applicazione della legislazione extrapenale applicabile nel caso cli specie.
Con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15 ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non poteva ravvisarsi alcun obbligo di presenza sul luogo di svolgimento della prestazione lavorativa in capo al A.A.; dovendosi valutare la legittima assenza come impossibilità per il suddetto di impedire il verificarsi dell'evento.
Con il terzo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sotto il profilo del vizio di travisamento della prova; ha dedotto che i giudici di merito avrebbero male interpretato la testimonianza resa da E.E., tecnico della prevenzione, il quale aveva riferito in ordine all'inidoneità della scala, trattandosi di lavoro in sospensione e anche in rapporto alla durata della lavorazione, quando lo stesso teste aveva riferito di non avere fatto verifiche sulla durata stessa.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento con rinvio della pronuncia impugnata.
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso che, vertendosi - in punto di valutazione di responsabilità dell'imputato - in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
3. I primi due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, in quanto entrambi afferenti alla valutazione operata dai giudici di merito in punto di sussistenza della posizione di garanzia in capo all'odierno ricorrente, nella qualità di committente delle lavorazioni nello svolgimento delle quali si è verificato l'evento letale.
I motivi sono inammissibili, in quanto manifestamente infondati.
Va difatti rilevato che la Corte territoriale si è adeguatamente confrontata con i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine all'ambito di estensione della responsabilità del committente in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro e all'applicabilità dei principi medesimi in tema di appalto "domestico".
4. In particolare, la giurisprudenza di legittimità - alla luce della trasformazione della figura del committente (definito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89 come "il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione") nella normativa e nella giurisprudenza, da soggetto privo di autonoma responsabilità a soggetto che riveste responsabilità proprie (oggi descritte dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90) , ha ritenuto che il principio generale, secondo cui il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, debba essere precisato, nel senso che dal committente non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori con la conseguenza che ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonchè alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangi, Rv. 252672; nel medesimo senso sez. 4, Sentenza n. 44131 del 15/07/2015, Rv. 26497; Sez. 4, n. 27296 del 02/12/2016 - dep. 2017, Vettor, Rv. 270100; Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019, dep. 2020, Frusciante, Rv. 278435); essendo altresì stato precisato che sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poichè l'obbligo di verifica di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 90, lett. a), non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo (Sez. 4, n. 28728 del 22/09/2020, Olivieri, Rv. 280049).
5. Va osservato, in relazione alle deduzioni spiegate da parte del ricorrente, che il presupposto per il perfezionamento dei suddetti obblighi in capo al committente è da individuarsi nella conclusione di un contratto di appalto - di lavori o di servizi - regolato dalle disposizioni generali contenute negli artt. 1655 c.c. e ss..
Mentre, d'altro canto, deve ritenersi del tutto inconferente il richiamo operato dall'imputato nell'ambito del primo motivo di ricorso - al disposto del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 3, comma 8, in base al quale "Sono comunque esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto e delle altre norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori i piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l'insegnamento privato supplementare e l'assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili".
Tale disposizione va letta anche alla luce del disposto dell'art. 2, comma 1, lett. a), del cit. D.Lgs., che definisce il lavoratore come colui che "indipendentemente dalla tipologia contrattuale svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari"; dovendosi quindi ritenere, alla luce del combinato delle suddette disposizioni, che il personale domestico escluso dall'area di applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008 si identifichi in quello definito dalla L. 2 aprile 1958, n. 339, art. 1 ovvero in coloro che "prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare".
6. Richiamando quindi la parte motiva di Sez. 4, n. 26335 del 21/04/2021, L., Rv. 281497 - 02, va rilevato che nell'ipotesi di conferimento di appalto "domestico", non può, in generale, ritenersi che il committente non professionale sia tenuto a conoscere le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale per evitare il verificarsi di infortuni, chè altrimenti ne deriverebbe una paralisi dei lavori di manutenzione domestica, posto che ciò implicherebbe una formazione del cittadino comune non prevista dall'ordinamento, che la pretende nei confronti del datore di lavoro e dei soggetti dal medesimo designati o comunque di soggetti professionalmente deputati ad assicurare la sicurezza delle lavorazioni.
Ciò che la legge pone a carico del committente privato per lavori di tipo domestico, al contrario, è l'obbligo di ‘sceglierè adeguatamente l'impresa, quest'onere consistendo verificare che la medesima sia regolarmente iscritta alla c.c.I.A, dimostri di essere dotata del documento di valutazione dei rischi e che di non essere destinataria di provvedimenti di sospensione od interdittivi, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14.
Allorquando l'azienda sia scelta secondo siffatti criteri, di natura oggettiva, non può ritenersi la mala electio da parte del committente non professionale, ciò esonerandolo da ulteriori controlli ed ingerenze nei lavori, che potrebbero anche condurlo ad assumere una "responsabilità per ingerenza".
Se, tuttavia, la scelta dell'impresa non avviene con questi criteri il committente assume su di sè gli oneri del garante della sicurezza posto che l'assenza del conferimento dell'incarico per lo svolgimento delle opere ad un soggetto "adeguato" non può riversarsi sulla sicurezza dei lavoratori addetti a quelle opere, i quali debbono comunque essere garantiti.
Dunque, la mala electio dell'impresa esecutrice si trasforma, in sostanza, nell'ingerenza nei lavori, posto che può determinarne lo svolgimento in condizioni di "insicurezza", con la conseguenza dell'assunzione diretta della posizione di garanzia da parte del committente.
7. Ciò posto, la Corte territoriale - in linea con i predetti principi - ha ritenuto che il A.A., quale committente, avesse integralmente assunto su di sè l'onere di adeguata conformazione dell'ambiente di lavoro, non avendo adempiuto agli specifici obblighi sopra elencati in punto di adeguata scelta e valutazione del soggetto appaltatore; e che lo stesso soggetto committente non avesse correttamente adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15 (applicabili al committente in virtù del rinvio compiuto nell'art. 90), con specifico riferimento a quello riguardante l'eliminazione dei rischi, avendo lo stesso fornito - sulla base della valutazione di fatto compiuta dalla Corte, non riesaminabile in questa sede in considerazione della non manifesta illogicità della motivazione - attrezzatture, con specifico riferimento alla scala utilizzata nell'esecuzione dei lavori, non idonee rispetto alle esigenze di sicurezza derivanti dalla lavorazione medesima; considerazione in riferimerto alla quale le argomentazioni contenute nel secondo motivo di ricorso - in base alla quale non sarebbe sussistito il presupposto dell'evitabilità in ragione dell'assenza del committente dal luogo di espletamento dei lavori - appaiono del tutto omissive rispetto al necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
8. Il terzo motivo, con il quale è stato dedotto un travisamento della prova testimoniale da parte dei giudici di merito, deve ritenersi inammissibile per mancanza del necessario requisito della autosufficienza in riferimento al disposto dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Va difatti rilevato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071); rilevando specificamente che quando, come nel caso di specie, venga denunciato il vizio di travisamento di una prova testimoniale, costituisce onere del ricorrente quello di operare - nel corpo dell'esposizione del motivo o mediante allegazione del relativo verbale - la riproduzione integrale della testimonianza medesima, in modo da consentire l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012, Massaro, Rv. 253017).
Deve quindi rilevarsi come il ricorrente si sia limitato a riprodurre, nell'esposizione del motivo, due stralci delle dichiarazioni rese dal teste E.E. (in riferimento al tema dell'incidenza della durata de, lavori sull'idoneità della scala adoperata) ma non ad allegare l'integrale testimonianza; in tale modo, sulla base dei predetti principi, rendendo impossibile apprezzare l'effettivo travisamento della prova da parte dei giudici di merito e la conseguente incidenza del medesimo sul complessivo ragionamento probatorio.
9. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2023