1 Settembre 2025

Infortuni sul lavoro da AI e robotica: chi paga quando l’algoritmo sbaglia?

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Infortuni sul lavoro da AI e robotica: immaginate una linea di montaggio scintillante, pavimento lucido, caschi protettivi che riflettono luci al neon. Un braccio robotico, perfettamente oliato, completa movimenti che un essere umano impiegherebbe ore a replicare. Finché, in un battito di ciglia, l’algoritmo che lo governa calcola male una distanza e il braccio devia di pochi gradi, abbastanza per colpire un operatore.

Chi rimborserà le spese mediche? Chi risponderà di quell’errore? E, domanda ancor più scomoda: come facciamo a dimostrare che cosa è andato storto?


1. L’AI come nuovo fattore di rischio (e di produttività)

Viviamo nella quarta rivoluzione industriale. Non è solo uno slogan per convegni: algoritmi di machine learning ottimizzano cicli di produzione, sensori IoT segnalano anomalie in tempo reale, cobot lavorano fianco a fianco dei dipendenti.

Se con un cacciavite difettoso il danno riguarda un singolo pezzo di metallo, con un sistema dotato di AI parliamo di una catena decisionale capace di mutare autonomamente. La probabilità statistica di un incidente resta magari bassa, ma l’impatto potenziale cresce esponenzialmente.

(Piccola digressione): ricordate il primo incidente mortale di un’auto a guida autonoma, in Arizona nel 2018? Quel caso,fuori dalla fabbrica, è vero, ha insegnato che la percezione pubblica della tecnologia può cambiare in un fine‑settimana se si rompe la promessa implicita di sicurezza.


2. Errore algoritmico vs guasto meccanico: due cose diverse

Guasto meccanico: un sensore si brucia, un motore cede, un connettore si ossida.

Errore algoritmico: il modello statistico fa overfitting, un set di dati alterato introduce bias, una rete neurale compensa male il deterioramento di un giunto.

Il primo scenario è roba da manuale, letteralmente, basta aprire le istruzioni d’uso. Il secondo è più subdolo. Non tutti gli errori sono colpa di codice "scritto male"; talvolta è il processo di apprendimento che genera traiettorie impreviste. Pensate a un allievo brillante che, dopo anni di esperienza, sviluppa un vizio che nessun insegnante gli aveva notato.


3. Normativa italiana ed europea: un cantiere in continua evoluzione

La teoria è chiara, l’applicazione meno: quando il "difetto" risiede nell’algoritmo, le aspettative di sicurezza si spostano dal metallo al software. E il software, lo sappiamo, invecchia più in fretta dell’acciaio.


4. Mappa delle responsabilità: un’orchestra di attori (che talvolta stonano)

  1. Produttore – risponde dei difetti intrinseci: componenti, progettazione, controlli.
  2. Sviluppatore software – può essere chiamato in causa per bug, dataset inadeguati, test scarsi.
  3. Integratore di sistema – ha il compito di far parlare hardware, firmware e AI; un’interfaccia mal connessa può vanificare tutte le tutele.
  4. Datore di lavoro – garante ultimo della sicurezza sul posto di lavoro (art. 2087 c.c. e D.Lgs. 81/2008). Gli si chiede di «prevedere l’imprevedibile», ovvero predisporre guard‑rail procedurali.
  5. Manutentore/operatore – deve aggiornare software, sostituire parti, segnalare comportamenti fuori soglia.

Chi paga se succede il patatrac? Spesso tutti, in quote diverse, secondo il principio di corresponsabilità.


5. Dalla carta al caso concreto: tre storie istruttive

Gigafactory Tesla di Austin, 2023
Un robot per l'imballaggio, utilizzato all'interno di una Gigafactory Tesla vicino a Austin, in Texas, ha «attaccato» un ingegnere durante il suo turno di lavoro, colpendolo alla schiena e al braccio sinistro, ferendolo alla mano.

Bug CrowdStrike: il “Cyber Guaio dell’estate 2024”.

Il 19 luglio 2024 sarà ricordato come una giornata nera nella storia della tecnologia. Un aggiornamento software, noto come Bug CrowdStrike, apparentemente innocuo ha causato un caos a livello globale, portando a interruzioni in vari settori chiave, dai trasporti aerei ai servizi bancari.

Tribunal de Grasse, Francia (2019): responsabilità concorrente del chirurgo per uso di dispositivo robotico privo di adeguati “guard-rail” software

 In Francia, nel 2019, il Tribunale di Grasse ha stabilito che, in caso di danno subito dalla vittima a causa di un errore da parte di un professionista sanitario durante un intervento chirurgico, "quando è attribuibile a più persone che agiscono in modo indipendente, la vittima può chiedere il risarcimento del danno. In questa configurazione, un professionista sanitario che utilizza un dispositivo di intelligenza artificiale sarebbe ritenuto responsabile congiuntamente con il produttore in caso di errore.

6. Il nodo probatorio: dal "perché" al "come hai testato?"

Con reti neurali profonde la spiegazione puntuale è spesso impossibile. Sta emergendo la process liability, ovvero la responsabilità del modo in cui si lavora, la responsabilità dei processi interni: il giudice non chiede perché l’AI ha sbagliato, bensì come l’hai formata, testata, monitorata. Se i tuoi protocolli sono robusti, la colpa si attenua; se hai scorciato il ciclo di test per uscire sul mercato, preparati alla responsabilità. Piccola parentesi nerd: i log di training oggi valgono quanto le certificazioni ISO sui materiali. Conservateli, versionateli, fateli auditare.


7. Strategie difensive (molto concrete) per chi produce e per chi usa

  • Audit algoritmico preventivo: coinvolgere un team esterno per testare l’AI in scenari limite (edge‑cases) prima del go‑live.
  • Contratti "manutenzione + patch": definire SLA che obblighino il produttore a fornire update e l’utilizzatore a installarli entro finestre temporali praticabili.
  • Polizze parametriche: copertura che scatta se il tasso di errore supera soglie pre‑definite (utile anche per convincere il board a investire in sensori aggiuntivi).
  • Circuit breakers digitali: algoritmo che ferma tutto se rileva deviazioni superiori a x sigma rispetto al comportamento standard.
  • Formazione continua: sì, la slide "premere l’e‑stop se…" è noiosa; ma se l’operatore sa riconoscere micro‑scarti di traiettoria, evita guai peggiori.

8. Uno sguardo oltre l’orizzonte

C’è chi ipotizza una «personalità giuridica elettronica» per i sistemi di AI avanzati. Fantascienza? Forse. Ma basta guardare alla responsabilità civile delle self‑driving car per capire che la direzione è quella: attribuire il rischio a chi beneficia economicamente dell’autonomia macchina.

E se il futuro fosse una responsabilità distribuita, un po’ come avviene nel settore nucleare? Pool assicurativi, fondi mutualistici, premi modulati sul risk score reale di ciascuna AI. In altre parole, meno tribunali e più actuary che litigano su coefficienti statistici.


Post‑scriptum (non un vero epilogo)

Le norme cambiano, i sensori si miniaturizzano, gli algoritmi si riscrivono. L’unica costante è la necessità di tradurre la complessità tecnica in procedure quotidiane, comprensibili per l’operaio al tornio e difendibili davanti a un giudice. Non lo si fa in un giorno, ma ogni giorno.

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